Chiesa parrocchiale di San Nicola di Bari

San Nicola di Bari (San Nicolò vescovo).

Al centro degli assi stradali principali che componevano il tessuto urbanistico dell’antico abitato di origine medievale, al di sopra di una croce di strade dal chiaro significato simbolico, emerge la chiesa di San Nicolò Vescovo. Questa fu oggetto di ripetute modifiche ed accrescimenti, apartire dalla seconda metà del XVII secolo (1656), interventi che si conclusero poco prima della metà del settecento. Non trascorse molto tempo e venne demolita; è curioso il fatto che la demolizione fosse messa in atto quando il nuovo edificio di culto non era stato ancora consacrato: la sua costruzione era iniziata quindici anni dopo il completamento del precedente, nel 1755 . La consacrazione della nuova chiesa parrocchiale fu celebrata, a lavori non ancora ultimati, il 14 maggio 1777 ad opera del vescovo di Ales-Terralba, Monsignor G.Maria Pilo, come documenta la lapide che si trova a destra dell’ingresso alla chiesa, (a quel tempo le chiese sconsacrate venivano abbattute per evitare che i briganti vi si insediassero per ottenere l’immunità, in base alla legge del diritto d’asilo). I lavori di costruzione intorno alla vecchia chiesetta, andarono avanti per oltre un trentennio fino alla realizzazione di una chiesa, molto più grande della precedente, la cui planimetria corrisponde a quella attuale. Questa è l’unica chiesa in Marmilla intitolata a “Santu Nicolau”, vescovo di Myra, titolo decretato
da Giulio II nel 1503. Il Santo era originario (di Patara di Licia, dove nacque il 15 marzo 270 e morì a Myra, il 6 dicembre 343, antica città ellenica della Licia), dell’Asia Minore, nell’attuale Turchia meridionale: da qui il nome di San Nicola di Myra. Invece l’appellativo “di Bari” fa riferimento al luogo in cui vennero portate e attualmente sono ubicate le sue reliquie. Sappiamo infatti che nel 1087, sessantadue marinai si impossessarono delle reliquie del santo e le consegnarono a un monaco benedettino, il quale edificò in suo onore una basilica. Le prime tracce del suo culto risalgono al V secolo, ma le testimonianze sul suo apostolato si fecero copiose a partire dal VI secolo, per giungere in Sardegna durante la dominazione bizantina. Lo troviamo documentato dal 1112, nel condaghe di San Pietro di Silki. Nella vita della Chiesa il culto di San Nicola è tuttora il più diffuso, secondo a quello della Beata Vergine Maria.

Caratteristiche strutturali

La chiesa parrocchiale di Simala imitò il modello seicentesco delle cattedrali di Cagliari e di Ales (opere dell’architetto genovese Domenico Spotorno) e quello settecentesco della cattedrale di Oristano. L’edificio presenta una pianta a croce latina con una sola navata, quattro cappelle laterali, indipendenti fino al 1895 (epoca in cui si decise di collegarle tra loro attraverso la realizzazione di archi a tutto sesto, probabilmente per conferire maggiore ampiezza all’ambiente, creando l’illusione ottica di percorrere una costruzione a tre navate) e due cappelloni dedicati al Crocifisso e alla Madonna del Rosario, realizzati nel 1788 ai lati del transetto. Le navate sono impostate su due ordini architettonici, che segnano l’imposta delle volte e degli archi attraverso delle modanature. La copertura degli ambienti (navata e cappelle) è caratterizzata da classiche volte a botte
estradossate, mentre la cupola si contraddistingue con la sua calotta a padiglione, che copre un ambiente, caratterizzato al suo interno da un’originale pianta rettangolare, mentre all’esterno presenta un profilo planimetrico di forma ottagonale, con lati e spicchi irregolari.
In cima alla cupola è presente una piccolissima lanterna (finto lanternino), anch’essa di forma ottagonale. Sul lato destro del presbiterio sorge la sagrestia, a pianta rettangolare, coperta da una volta a padiglione, con il colmo dotato di otto lunette, disposte lateralmente (due per lato) lungo le facciate interne. Dentro questo ambiente si è conservato l’antico pavimento in pietra, il quale originariamente si trovava in tutta la chiesa, prima che fosse realizzato quello in marmo, di fattura ottocentesca. Quest’ultima pavimentazione è stata interessata da altre aggiunte agli inizi del Novecento, subendo, infine, rimaneggiamenti con gli interventi di “restauro” eseguiti diversi anni fa.
Sul lato sinistro del presbiterio, fino a poco tempo fa, si trovava l’antico oratorio parrocchiale poi trasformato in sagrestia e, in seguito, distrutto nel corso dei lavori eseguiti negli anni ottanta.
La facciata principale si presenta con un terminale a doppia inflessione (motivo ripetuto anche nei prospetti del transetto, del presbiterio e delle cappelle laterali) e due finestre rettangolari, disposte simmetricamente a quella centrale, archivoltata e posizionata in asse rispetto al grande portale d’ingresso, che si affaccia sul sagrato. Una volta terminata la chiesa, nella seconda metà del XVIII secolo, sul lato destro venne edificata la torre campanaria ad imitazione di modelli diffusi da architetti ed ingegneri militari piemontesi presenti in Sardegna in quel periodo. Quest’ultima ha pianta quadrata e la cella campanaria è coperta internamente da una piccola volta a padiglione, che esternamente ha
forma di cipolla, con le finestre archiacute, come quelle della torre campanaria di Oristano, progettata dall’ingegner Davisto. L’edificio di culto, pur conservando nel suo complesso l’aspetto originario, nel corso dei secoli ha subito diversi interventi, spesso senza un progetto organico, internamente ed esternamente, che ne hanno parzialmente snaturato la forma, i dettagli e gli arredi.
Adiacente alla chiesa vi era il relativo cimitero, ricco di sculture ed epigrafi, pregevoli opere di scultori, marmisti dell’ottocento e dei primi del novecento, appartenenti alle famiglie nobili o benestanti, attualmente depositati altrove in attesa di trovare la sistemazione adatta (chiedere se sono state sistemate). Nei pressi della chiesa ci sono gli edifici dell’oratorio del SS.Rosario e il Monte Granatico.

Manufatti e arredi

La chiesa è arricchita negli ambienti interni, ai lati del transetto e nelle cappelle, da arredi e manufatti marmorei, lignei e d’argento, di gran pregio storico-artistico, provenienti da prestigiose botteghe. Si annoverano tipici esempi della scultura settecentesca-ottocentesca, quasi tutti, del marmoraro Giovanni Battista Franco (di Lanzo d’Intelvi, esponente di una delle principali famiglie di marmorari lombardi attivi in Sardegna tra il 1769-1830), il quale espresse la sua maestria, negli stili barocco e rococò, come testimoniano: i tre altari marmorei con balaustra; il basamento e la vasca del fonte battesimale; l’acquasantiera. Altre opere di scultori sardi, quali: i quattro altari lignei, intagliati e policromi, in finto marmo, eseguiti da Lorenzo Gallo e Antioco Diana. Quest’ultimo, di Sant Antioco, realizzò anche la bussola, tra le più grandi in Sardegna, sopra la quale era posizionato l’organo a canne, dell’ottocento e la copertura del fonte battesimale, in castagno intagliato e dorato a fuoco (all’interno del quale era possibile ammirare, in passato due dipinti su tavola, posizionati nelle facciate interne dei due sportelli, con la rappresentazione rispettivamente del Battesimo di Cristo nel Giordano, con San Giovanni Battista benedicente da un lato e, della SS. Trinità dall’altro). Nella parte sommitale la bussola è coronata dal ritratto di San Nicolò Vescovo. I tre altari marmorei sono dedicati a San Nicola vescovo, titolare della chiesa e patrono del paese (altare maggiore, la cui sopraelevazione della parte originaria, di fattura barocca, risale al 1856, e ha uno stile neo-classicheggiante), a S. Raffaele Arcangelo (lato sinistro), e a San Giuseppe (lato destro). Gli altri quattro altari lignei sono intitolati alla Vergine d’Itria (prima cappella laterale a sinistra, partendo dall’ingresso); a S. Anna (prima cappella laterale a destra); alla Beata Vergine del SS. Rosario (nel transetto a sinistra) ed al SS.Crocifisso (nel transetto a destra). Sono presenti anche opere lignee di pregio, come le porte d’accesso alla sagrestia e all’antico oratorio, annesso alla chiesa, eseguite dal maestro Lorenzo Gallo e le statue in legno, intagliato e policromo, quasi tutte del XVIII secolo.Tra queste ultime risalta la statua di S. Raffaele Arcangelo, attribuita (insieme ad altre) dal Dott. Raffaele Delogu, al più importante scultore sardo del settecento, Giuseppe Antonio Lonis, di Senorbì, ed alla sua bottega cagliaritana di Stampace. Alcune delle statue invece risalgono al 1600 e al 1700 e provengono dal villaggio scomparso di
Gemussi, come per esempio quella di San Luigi. Compongono gli arredi sacri, alcune opere di argentieri sardi del quattrocento, del seicento, del settecento e dell’ottocento (turibolo, aspersorio, e croce processionale), paramenti sacri settecenteschi, tappeti sardi del settecento e dell’ottocento.
Altre opere censite negli anni 30 dal dottor Delogu, per conto della soprintendenza ai beni architettonici e artistici, sono andate distrutte o disperse. Di grande valore storico anche i documenti conservati nell’archivio parrocchiale, dal seicento ai giorni nostri.